Gli slogan delle marce e dei gay “pride” ( dall'inglese letteralmente “orgoglio”, “superbia” ) fanno appello alla non tolleranza contro i non tolleranti, alla libertà ma all'intransigenza con chi non la pensa allo stesso modo, alla democrazia mentre fattualmente si presentano come un'oligarchia allargata, con tanto di lobby e fanatismo: chi è dentro è amico, chi è fuori è nemico.
Prima di affrontare questo delicato quanto attuale tema occorre fare
un’importante distinzione tra i concetti di omosessuale e gay. Quando si
parla di omosessualità si parla di un concetto valido a priori
in quanto rientra nel dominio esclusivo della natura e del sentimento,
tendenza sessuale plurisecolare testimoniata frequentemente fin dall’età
greco-romana. L’omosessualità è inclinazione naturale e psicologica che esula da qualsiasi logica e costrizione sociale o culturale, attitudine circoscritta alla sfera intima e privata e non fuori da essa. Il fenomeno gay ha tutt’altra natura: sociale, culturale, economica. Ha preso piede con il movimento di rivolta sessantottino e le coordinate lotte giovanili e si è andato a strutturare e articolare con gli anni diventando una vera e propria ideologia se non una religione. Il libero mercato ha istantaneamente colto la palla al balzo e ha canalizzato questa nuova realtà emergente in consumistici canali di sfogo. La snaturalizzazione dell’individuo gay, in quanto ha perso i caratteri naturali assumendo atteggiamenti invertiti biologicamente ingiustificabili, ha creato l’occasione di creare o di specializzare determinati mercati al fine di ampliare il consumo e quindi alimentare il libero mercato. Moda, accessoristica, estetica, locali, discoteche, villaggi: solo alcuni generali esempi delle canalizzazioni di questo giovane mercato.
Oltre ad alimentare un economia utile solo ai poteri politici ed economici celati dietro queste pseudo-istituzioni, la conseguenza più grave e sottile, invece, è sul piano socio-culturale. In primis, il tabù e la sacralità del termine “omofobo”, che assume sfumature al limite dell’escatologia. E’ un termine pericoloso e pregiudicante, totalitario, discriminante, applicato a chiunque avesse qualcosa da dire contro l’ideologia gender; ma soprattutto è un termine ipocrita, sventolato all’istante contro le barriere sociali che le stesse “vittime” hanno alzato.
Gli slogan delle marce e dei gay “pride” ( dall’inglese letteralmente “orgoglio”, “superbia” ) fanno appello alla non tolleranza contro i non tolleranti, alla libertà ma all’intransigenza con chi non la pensa allo stesso modo, alla democrazia mentre fattualmente si presentano come un’oligarchia allargata, con tanto di lobby e fanatismo: chi è dentro è amico, chi è fuori è nemico.
Un esempio per tutti è stato il caso dell’omosessuale inglese Fanshawe. Attraverso un documentario realizzato nel 2006 presentato poi sul “The Guardian”, Simon Fanshawe ha osato sfidare la lobby gay desacralizzando l’immagine comunemente imposta dai vertici della stessa, gettando uno sguardo freddo e razionale sulla realtà a lui circostante. «E’ lecita ogni tipo di attività sessuale, solo perché è gay» scrive nella presentazione, dimostrando come i gay stessi impongono la loro discriminazione assumendo atteggiamenti da, praticando uno stile di vita volto alla superficialità e alla distruttività della vita stessa. Esiliato dalla comunità per aver corrotto il DNA della classe e sfidato il potere della Lgbt, ha concluso «In appena un’ora sono riuscito a bruciare tutti i ponti del mondo gay che avevo. Sono diventato il capro espiatorio delle fazioni politiche più estreme del mondo gay»
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